L’obesità infantile è una delle maggiori sfide mondiali per la salute pubblica del ventunesimo secolo [1]. La sua prevalenza mondiale è aumentata drammaticamente da appena il 4% nel 1975 a poco più del 18% nel 2016 [2]. Negli Stati Uniti, il 19,3% dei bambini e degli adolescenti soffre di obesità [3], mentre nei paesi europei la prevalenza è compresa tra il 9 e il 13%, con i paesi mediterranei che registrano i tassi più elevati [4,5].
Essere obesi durante l’infanzia e l’adolescenza comporta un rischio maggiore di contrarre una malattia cronica e può avere conseguenze a breve e lungo termine [6]. A breve termine possono verificarsi problemi psicologici, disturbi alimentari, asma e problemi muscoloscheletrici [7].
I giovani in sovrappeso o obesi sviluppano anche un aumento del rischio metabolico, attraverso dislipidemia, diabete mellito di tipo 2 o problemi cardiovascolari [8]. A lungo termine, ci sono fattori socio-ambientali che spesso prolungano lo stato di obesità nell’adolescenza e nella vita adulta. Se l’obesità persiste, può portare alla cronicizzazione di queste malattie, che possono causare disabilità e un aumento del rischio di morte prematura [6].
Le cause dell’obesità sono complesse e ancora non del tutto note. Tuttavia, è plausibile che la condizione sia determinata in gran parte da fattori ambientali che influenzano le scelte dietetiche [1]. Istruzione e reddito sono le più incidenti. Bassi livelli di istruzione e reddito portano a fare acquisti in negozi a basso costo e a un maggiore accesso a cibi nocivi, costantemente associati a un rischio più elevato di obesità infantile [9, 10]. Al contrario, lo stato socioeconomico elevato sta diventando il principale fattore determinante dell’obesità negli adolescenti a causa dell’uso più frequente dei media e di conseguenza degli stili di vita sedentari, insieme alla maggiore esposizione alla pubblicità di cibi di bassa qualità nutrizionale e ad alto contenuto energetico [11], che sembrano attraenti, iper-appetitosi, economici e pronti da mangiare[12,13].
Tutto ciò si traduce in un aumento del consumo di alimenti trasformati, come snack, cibi spazzatura e cibi pronti, rispetto a scelte nettamente più salutari [14, 15].
Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), il cibo trasformato è un prodotto che ha subito un processo che ne ha alterato lo stato naturale. Nella categoria degli alimenti trasformati può essere incluso qualsiasi alimento ad eccezione dei prodotti agricoli crudi. È stato sviluppato un metodo per classificare gli alimenti in base al grado di trasformazione, che va da minimamente ad altamente elaborato.
Tra i sistemi più utilizzati in letteratura, emerge il metodo NOVA, proposto da Monteiro et al., [13] nel 2010, che classifica gli alimenti e le bevande in base al grado di lavorazione a cui sono esposti.
Questa classificazione identifica gli alimenti in quattro gruppi:
1. alimenti non trasformati, come parti commestibili di piante o animali, funghi, alghe e acqua, o alimenti minimamente trasformati, che sono alimenti naturali che sono stati trattati per renderli sicuri e adatti alla conservazione, commestibili o più piacevoli da consumare;
2. ingredienti culinari trasformati, come oli, burro, strutto, zucchero e sale, progettati per essere combinati con i cibi e rendere appetibili i piatti;
3. alimenti trasformati realizzati principalmente aggiungendo sale, olio, zucchero o altre sostanze del gruppo 2 agli alimenti del gruppo 1, come verdure in scatola o legumi conservati in salamoia, frutta intera conservata sciroppata, pesce in scatola conservato sott’olio;
4. alimenti e bevande ultra processati (UPF), prodotti attraverso processi fisici, biologici e chimici e tipicamente con più ingredienti e additivi, dopo che gli alimenti sono stati separati dalla natura e prima di essere consumati o preparati come piatti e pasti. Sono bevande analcoliche, snack dolci o salati confezionati, pane e focacce confezionati prodotti in serie, carni lavorate e pasti surgelati preconfezionati [13].
Questi ultimi sono creati con ingredienti a basso costo per essere altamente redditizi, attraenti e convenienti (lunga conservabilità e pronti da mangiare). La letteratura suggerisce che tali alimenti, con la loro scarsa qualità nutrizionale e l’elevata densità energetica, sono in grado di alterare i meccanismi della fame e della sazietà favorendo un consumo energetico eccessivo[16, 17].
Inoltre, un elevato consumo di alimenti ultra-trasformati può ridurre il dispendio energetico totale a causa del ridotto effetto termico degli alimenti.
Uno studio sperimentale ha mostrato una riduzione del 50% del dispendio energetico postprandiale in seguito al consumo di alimenti ultra-trasformati, rispetto agli alimenti isocalorici non trasformati [18].
Oltre a ciò, gli alimenti ultra-elaborati ricchi di carboidrati e zuccheri raffinati possono alterare i livelli di insulina e aumentare l’immagazzinamento dei nutrienti nel tessuto adiposo[19]. Ancora, le proprietà strutturali e fisiche dei prodotti ultra lavorati, così come il basso contenuto di fibre solubili, possono alterare la segnalazione di sazietà, causando un consumo eccessivo [20]. Infine, il consumo di alimenti ultra-trasformati può aumentare l’esposizione a componenti non nutritivi, come ftalati e bisfenolo A [21]. Queste molecole sono interferenti endocrini ritenuti coinvolti nella patogenesi dell’obesità [22, 23].
Il consumo di UPF in una dieta varia che è bilanciata in termini di calorie e nutrienti potrebbe non avere lo stesso effetto se consumato in un modello alimentare che è ad alto contenuto calorico e il cui consumo di UPF porta alla riduzione degli alimenti di maggior valore nutritivo. Infatti, come riportato da Stewart et al.,[24], il consumo occasionale di alimenti tipici della dieta occidentale ricca di UPF non è risultato correlato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari se inclusi in un modello dietetico mediterraneo, fortemente bilanciato tra carboidrati, proteine, grassi e fibre. L’apporto energetico totale e l’attività fisica sono fattori determinanti del bilancio energetico e possono, pertanto, influenzare l’associazione tra consumo di UPF e parametri di obesità e adiposità.
Attività fisica e alcuni accorgimenti nutrizionali sono quindi la chiave di volta per contrastare sovrappeso e obesità infantile. Integrare nella dieta la quota giornaliera di 15 g di fibre è il primo step da raggiungere.
Le fibre solubili, come gli arabinoxilani, presentano una elevata solubilità e viscosità che si traducono in effetti terapeutici unici come il controllo del peso corporeo, aumento del senso di sazietà, controllo glicemico e riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue [25, 26].
Tali fibre sono altamente presenti nei cereali integrali come orzo e avena e nella frutta, ma spesso non biodisponibili ed efficaci se non estratte dalla matrice alla quale sono legate. L’adozione di una semplice modifica alla dieta individuale, ovvero l’inserimento di un alimento chiave a basso IG ad ogni pasto, può avere un effetto marcato sia sulla glicemia a digiuno che sui profili glicemici complessivi nelle 24h. Rendere un pasto a basso IG non è impossibile, infatti come suggerisce l’ Autorità europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), per ottenere gli effetti benefici sulla regolazione del glucosio postprandiale è necessario integrare in bevande e alimenti 8 g di fibra solubile ricca in arabinoxilano ricavata da endosperma di frumento [27].
Dopo solo una settimana di riduzione dell’IG grazie alla dieta, 8 soggetti su 9 mostrano una riduzione del loro profilo glicemico complessivo [28].
La scelta di una dieta a basso IG e povera di edulcoranti, può determinare miglioramenti fisici e psicologici. La presenza di fibre solubili garantisce un lento rilascio dei carboidrati nel tempo evitando ciò che comunemente è chiamato “sugar crush”, ovvero una riduzione repentina del glucosio ematico che comporta sbalzi umorali che portano il bambino da essere felice ed iperattivo a lunatico ed affaticato [29].
Inoltre ad un miglioramento del profilo glicemico postprandiale, una maggiore riduzione del peso corporeo rispetto alle diete ad alto IG, perché è stato dimostrato che gli alimenti a basso IG sono più sazianti [30], ritardano la fame e diminuiscono il successivo apporto energetico [31], grazie anche all’apporto di fibre [32, 33] che contribuiscono a migliorare la sazietà e la fame.
Bibliografia
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