Cambiare la nostra civiltà e rendere la presenza e le attività dell’uomo più sostenibili e meno impattanti è, in questa fase più che mai, una priorità assoluta per politica, aziende, organizzazioni e cittadini, che devono puntare ad un cambio di paradigma rapido e profondo.
Affinché questo cambiamento abbia luogo e ottenga risultati concreti, tuttavia, servono progetti e azioni concrete, che alcuni hanno già implementato e che danno ottimi risultati, dimostrando che ridurre la nostra impronta ecologica e il nostro impatto sull’ambiente e sulla biosfera è possibile e non richiede sforzi o rinunce intollerabili.
Con la definizione economia circolare si intendono azioni che spaziano dalla condivisione al prestito di oggetti e attrezzature (sharing), alla riparazione, riuso, ricondizionamento e riciclo di materiali e prodotti affinché durino il più possibile e possano essere usati anche per scopi diversi o complementari rispetto a quelli originari.
Ciò che oggi si richiede a ciascuno di noi, così come a tutte le nostre forme di aggregazione e cooperazione, è abbandonare quanto più possibile il modello consumistico per abbracciare un nuovo paradigma, che riduca lo spreco, allenti la pressione sulla gestione dei rifiuti e che dia vita ad un nuovo modo di produrre, di consumare e di utilizzare le risorse.
Il nodo centrale di questa sfida è nella generazione di valore che ne deriva. Quanto recuperato, ridefinito o riutilizzato deve infatti essere immesso nuovamente nel ciclo produttivo, cosicché un potenziale scarto da smaltire diventi materia prima per nuove idee e nuovi prodotti, spesso a valore aggiunto rispetto a quelli “tradizionali”.
Esempi virtuosi di questa buona pratica sono ormai presenti in molte industrie e in molti settori. Quello rappresentato da Heallo, con l’ingrediente brevettato JAXplus, una selezione di fibre solubili ottenute elaborando scarti e avanzi di lavorazione dei cereali, è soltanto uno dei molti esempi.
Il quarto rapporto sull’economia circolare in Italia del Circular Economy Network fotografa un Paese che ha sposato questo nuovo paradigma con grande convinzione: “nel 2020 il tasso di utilizzo circolare della materia nell’Unione Europea è stato pari al 12,8%: l’Italia è arrivata al 21,6%”. I dati del report indicano una quota di riciclo complessiva pari al 68% nel nostro Paese (media europea: 35%), il che significa che per ogni kg di risorsa consumata si generano 3,5 € di PIL (media europea: 2,1 €), mentre il consumo pro capite di materiali è pari a 7.5 t (media europea: 13,5 t).
Quanto alla gestione dei rifiuti c’è decisamente molto da fare, e in fretta! Il report ci dice che “nell’Unione europea la produzione complessiva di rifiuti al 2018 è stata pari a 2,3 miliardi di tonnellate (Gt). In Italia nello stesso anno sono state prodotte 173 milioni di tonnellate (Mt) di rifiuti. La Germania è a 406 Mt, la Francia a 343, la Polonia a 175, la Spagna a 138”.
Chi si sta muovendo nella direzione giusta è estremamente attivo anche in ambito di networking, perché la strada verso l’economia circolare passa anche attraverso la condivisione (di risorse, mezzi, competenze, mercati), la cooperazione e la conoscenza del panorama circular.
Sul sito del Circular Economy Club (CEC), la piattaforma di networking del Circular Economy Institute, sono presenti numerosi casi di studio di aziende di ogni parte del mondo che stanno remando nella direzione giusta.
Alla base di questi nuovi modelli di business c’è spesso la madre di tutte le buone pratiche: ove è possibile recuperare materia prima dai rifiuti e dall’inquinamento ambientale il risultato è sempre un successo, anche in termini economici.
Tra le aziende presenti sul sito c’è chi raccoglie plastica dagli oceani e la trasforma in nuovi prodotti, ripulendo i mari, salvando fauna e flora oceanica e ridando vita agli scarti più deprecati.
C’è poi chi ha concentrato la sua attività sul contrasto alla filosofia monouso, progettando nuovi prodotti che possono essere utilizzati più volte e che sono realizzati con materiali di recupero, esaltando il concetto del no single-use anche nel reperimento delle materie prime.
Altri settori di sviluppo riguardano la progettazione e la realizzazione di materiali che non inquinano e che non fanno male alla salute, come nel caso degli inchiostri che vengono usati per le confezioni in ambito alimentare e per le etichette, il cui impatto tendiamo troppo spesso a sottovalutare (carta, inchiostri, collanti, etc.).
Sono davvero moltissimi i campi di applicazione dell’economia circolare, che si spingono anche in ambiti fortemente impattanti come quello della mobilità. In questo settore riciclare parti e materiali significa ridurre sensibilmente l’inquinamento ed evitare che materiali potenzialmente nocivi finiscano in discarica. Gli pneumatici usati sono ottimi antagonisti della pelle, ad esempio, e da essi si ricavano borse, cinture e altri accessori per l’abbigliamento e l’arredo, ma sono preziosi anche in settori come il fieristico o l’edilizia.
Molto presente è il settore alimentare, in cui iniziative no spreco come quella ben nota di “Too good to go”, solo per citarne una, sono sempre più diffuse in tutti i settori e gli ambiti e rappresentano anche un modo per distinguersi in occasione di eventi e manifestazioni.
L’aspetto reputazionale è fondamentale per lo sviluppo dell’economia circolare. Già oggi, ma sempre più in futuro, ad avere successo saranno le aziende più attente a questo e a molti altri aspetti, come il trattamento del personale impiegato nella produzione (oggi si combatte lo sfruttamento, soprattutto dei minori, ma presto si pretenderanno azioni di welfare e di equity), la corretta gestione delle risorse, il rispetto dell’ambiente e della biosfera, l’impegno sociale e una sempre più complessa “rispettabilità” che deriva da scelte virtuose e coerenti, oltre che concrete e tangibili, in ambiti cruciali come quello dell’economia circolare.
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